Una scelta che spetta alle donne
di Federica Buffa
L’articolo 4 della legge 194/78 stabilisce che la donna possa ricorrere all’Interruzione Volontaria di Gravidanza nei casi in cui la prosecuzione della gravidanza comporterebbe un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, tenendo conto della sua condizione economica, sociale o familiare, ma anche in base alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o in previsione di malformazioni o anomalie del concepito.
Proprio nell’anno in cui la legge compie 40 anni, in Italia alcuni esponenti della classe politica vorrebbero fare un passo indietro, ripristinando la situazione come era in passato, proponendo di abrogare la legge, limitando effettivamente la libertà di scelta delle donne in merito all’IVG.
Questo clima sta svalorizzando la presa di coscienza, di decisione e di responsabilità che questa legge rappresenta. A Verona il mese scorso è stata approvata una mozione antiaborto che dichiara la città a favore della vita, in quanto favorirà finanziamenti ad associazioni che avranno l’obiettivo di promuovere iniziative contro l’aborto.
Ovviamente anche in altre città si sta tentando di fare lo stesso, facendo piccoli passi per arrivare a garantire sempre meno alle donne l’accesso all’IVG. Da anni, inoltre, stiamo assistendo a un aumento di medici e operatori sanitari obiettori di coscienza, che si oppongono alle pratiche abortive a discapito delle donne che ne fanno richiesta, rappresentando un ostacolo nell’esercizio di un diritto.
La legge è stata approvata dopo molte battaglie sociali volte a tutelare le donne, proprio perché molte di esse erano costrette a ricorre ad aborti clandestini rischiando la loro vita. Ad oggi, come nel 1981 quando fu richiesto un referendum abrogativo, la Legge 194 viene rimessa in discussione attraverso una presa di posizione che vedrebbe lo Stato imporsi, attraverso il controllo, su una scelta che spetta alle donne.
Riteniamo fondamentale che lo Stato continui a tutelare le donne lasciando loro la scelta cosciente e responsabile sui propri corpi. Crediamo invece sia più giusto definire e rafforzare programmi di prevenzione e sostegno, invece che tagliarle fuori da una decisione che condizionerà le loro vite.
Pensiamo ad esempio ai giovani, senza distinzione di genere, in un contesto culturale in cui ancora oggi la questione della sessualità è considerata un tabù: sarebbe opportuno considerare l’educazione sessuale come una pratica utile per la conoscenza e la consapevolezza del proprio corpo, elemento importante per ragazzi e ragazze. Ad oggi, spesso assistiamo a un’assenza di trasmissione di strumenti ai giovani, soprattutto alle donne che, in un contesto che continua a stereotiparle, pare non abbiano il diritto di acquisire consapevolezza sui propri corpi. È importante che le ragazze abbiano la possibilità di approfondire il tema della sessualità, acquisendo gli strumenti necessari per un maggiore riconoscimento del proprio corpo.
E ancora, se pensiamo alle donne migranti, provenienti da culture che trasmettono una visione della sessualità lontana dal piacere individuale ma diretta all’appagamento maschile e alla procreazione, sarebbe opportuno fornire loro strumenti utili per uscire da questa dinamica che le vede come soggetti inferiori e non meritevoli di godere appieno il proprio corpo.
Un lavoro come questo porterebbe ad un livello maggiore di prevenzione per evitare gravidanze indesiderate, ma non perché si giudica la pratica dell’aborto, piuttosto per evitare alle donne di dover ricorrere ad una pratica che spesso, anche a livello emotivo, è difficile e dura, oltre che poco accessibile nel periodo storico che stiamo vivendo.
Inoltre, per quanto riguarda le giovani minorenni, è compito del sistema sanitario saper sostenere e accompagnare, insieme ai genitori, le ragazze che si trovano a dover prendere una scelta di questo tipo nella loro vita. Un giusto sostegno permetterebbe loro di avere un aiuto in una situazione in cui dovranno riflettere su un’importante decisione che per legge non possono prendere completamente da sole.
Consideriamo anche un altro aspetto, ovvero il diritto di una donna a non essere madre. Ancora oggi la donna che non vuole figli viene giudicata, come se noi donne fossimo nate solo per poter procreare, come se le nostre vite non avessero senso in assenza di figli. Questo è un altro stereotipo da abbattere perché continua a rappresentare i nostri corpi come oggetti o, ancora peggio, come macchine volte alla produzione. La scelta di avere figli o meno è alla base della libertà individuale e del riconoscimento di una propria identità.
La strada è ancora lunga, ma possiamo iniziare a ragionare sul lavoro da attuare mettendo in campo le giuste pratiche, iniziando innanzitutto a non ostacolare le donne imponendosi sulle loro vite.
È necessario avviare un lavoro condiviso affinché la Legge 194 non diventi l’ennesimo passo indietro nei confronti delle donne.
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