RISE, WOMAN!

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Intervista a una donna che ce l’ha fatta

di Laura Grifi e Saveria Ottaviani
Questa è la storia di Gioia, una giovanissima donna che con grande coraggio ed impegno ha preso in mano la sua vita e ce l’ha fatta. Gioia è il nome fittizio che lei stessa ha scelto, perché oggi la sua vita è piena di gioia. La vediamo da lontano, è sempre lei: lo sguardo dolce ma sicuro. Dopo tanti anni, ci stringiamo in un lungo abbraccio.

Gioia, cosa fai ora? Lavoro in una gioielleria, mi hanno dato anche incarichi importanti. Vivo con altri coinquilini: ci prendiamo cura l’uno dell’altra, come fratelli e sorelle.

Ti va di raccontare la tua storia? All’età di due anni sono venuta in Italia con i miei, che erano i genitori più bravi del mondo. Una famiglia, però con una mentalità arretrata. Nel mio Paese le donne sono dominate da una cultura per cui non lavorano, fanno le madri e le serve. Io ero femmina, quindi per loro non dovevo studiare, uscire, avere amici maschi. Grazie alla legge italiana ho potuto frequentare la scuola fino alla maturità, la mia unica libertà, dopo scappai di casa. Vivevo in una realtà in cui i maschi della famiglia dicevano di proteggermi, ma all’età di otto anni ho subito diverse violenze sessuali proprio da alcuni di loro: hanno fatto tutto quello che si poteva fare, lasciando intatta la verginità, perché era ciò che contava. Non dissi niente, soprattutto per la paura di non essere creduta, anche perché loro erano maschi e io solo una femmina. Quella volta dissi a me stessa che non mi ero potuta proteggere, ma mi ripromisi che quella non sarebbe più stata la mia realtà. Non sono un oggetto, sono una persona. Io non so come ho fatto quando lasciai le chiavi di casa sul tavolo della cucina, aprii quella porta e mi dissi che non l’avrei più riaperta. O rinunciavo a loro, o a me stessa. Non l’ho fatto solo per me, ma anche per tutte quelle parenti che vivevano in quel modo; ho sperato che questo mio gesto facesse riflettere tutti.

Come sei arrivata al Centro Antiviolenza? Grazie ad un incontro di sensibilizzazione a scuola con le operatrici dei Centri antiviolenza. Quando entrai nel Centro fu un trauma: non riconoscevo le nuvole, l’aria, la lingua, le persone; per me era un esilio. Non piangevo mai, ridevo. Era la mia maschera. Le operatrici all’inizio mi dicevano di non preoccuparmi e che ero al sicuro. Ma io non le conoscevo, non erano la mia famiglia. Poi ho capito che erano lì per me, non ero una pratica da sbrigare, ma erano lì a lottare al mio fianco, per dare voce alla mia voce. Al Centro ho iniziato a recuperare tutte le cose che non avevo mai fatto: uscire, vestirmi come mi pareva, essere quella che volevo. Riuscii a piangere solo dopo tanto tempo. Quella è stata una sfida che la vita mi ha messo di fronte, ma ne è valsa la pena. Dico grazie a me stessa perché l’ho voluto, ma ho anche avuto la fortuna d’incontrare professori, amici e operatrici, che hanno fatto tanto per me. Dopo il Centro sono stata in casa-famiglia e adesso non so cosa succederà, ho conosciuto un ragazzo con cui ho una storia.

Com’è stato avvicinarsi a un ragazzo? La mia prima relazione importante è questa, quando abbraccio lui è come se abbracciassi un familiare ed è anche merito suo se mi sono lasciata andare. Però ho messo subito le cose in chiaro: “Io sono una donna, io sono Gioia e non la tua schiava; se non mi rispetti, sappi che ho rinunciato all’amore di mia madre, figurati se non rinuncio a te”. A questo ragazzo, che sentivo diverso, ho deciso di raccontare la mia storia, perché non volevo per l’ennesima volta dover indossare una maschera. Volevo che fosse libero di scegliere se stare con me, nonostante il pericolo e le difficoltà.

Qual è la vita che avresti fatto se fossi rimasta a casa? Se fossi rimasta lì, mi sarei dovuta sposare con qualcuno che avrei conosciuto solo il giorno del matrimonio. Avrei fatto la donna di casa che accudiva marito e figli, avrei fatto la schiava. Per me quella non sarebbe stata vita ma sopravvivenza, quella non sarei stata io ma la vita che avrebbero voluto farmi fare.

Com’è la tua vita adesso e cosa vorresti per il futuro? Oggi sono libera. Per me libertà vuol dire scegliere, anche se è faticoso e doloroso. La mattina mi sveglio, respiro e mi dico che va tutto bene. La vita che vorrei non è niente di che: studiare, lavorare, fare le cose che mi piacciono, farmi una famiglia con chi voglio io. Vorrei avere dei figli, un maschio e una femmina per insegnare a entrambi l’uguaglianza. Una vita normalissima in cui ti svegli, fai le corse per accompagnare i bambini a scuola, andare a lavoro e mangiare un boccone.

Ripensando al tuo passato, cosa ti diresti? Mi direi di rifare tutto quello che ho fatto, è sicuramente la strada giusta.

Cosa diresti a una ragazza che si trova nella tua stessa situazione? Tre anni e mezzo fa non sapevo se ce l’avrei fatta, sarei potuta morire, perché se mi avessero scoperto mi avrebbero sparato in testa, ma ho preferito la mia autenticità e la mia libertà. Chiedete aiuto, ce la potete fare. Almeno bisogna provarci. Lottate e guadagnatevi la vostra libertà… non mi va più di dire la libertà di una donna, ma la libertà di un essere umano.

 

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