Progetto Aisha
di Shaimaa El Roubeigy
Una donna può emigrare sia da sola che con la propria famiglia d’origine o con il marito. La maggior parte delle donne che ho conosciuto sono emigrate in Italia per ricongiungersi con il marito, sia con figli che senza. Se mi dovessi mettere nei panni di una di loro, avrei un misto di sensazioni tra felicità ed euforia e al tempo stesso paura. Paura di affrontare questo grande cambiamento: nuovi volti, usanze, lingua a me sconosciuta. Non saper parlare l’italiano e non riuscire a rispondere, non essere in grado di andare a una visita medica da sola mi farebbe sentire in forte deficit. Alcune donne allora decidono di imparare l’italiano, talvolta come autodidatta oppure ai centri CPIA, ma tante altre con figli molto piccoli o con un partner che le nega la possibilità di imparare frequentando un corso, rimangono così con un vocabolario molto povero. Perché sì, ho incontrato anche donne che nascondevano quaderno e appunti dai mariti, perché si sa che imparare la lingua è l’inizio di una possibile emancipazione.
Una seconda difficoltà che incontra una donna emigrata è l’idea che molte hanno sul popolo italiano, paura di vivere episodi di razzismo e paura di parlare male ed essere derise. Ecco che tante scelgono di chiudersi in casa o al massimo frequentare solo membri della propria comunità. In entrambi i casi si precludono la possibilità di esercitare e rafforzare la lingua italiana.
La terza grande difficoltà è l’ignoranza delle leggi italiane e dare per scontato una quasi sovrapposizione con le leggi del proprio paese d’origine. Questi risulta essere un problema rilevante, soprattutto quando si hanno dei figli minori.
L’accettazione della violenza fisica in famiglia risulta parte dello standard educativo e tradizionale di molti nuclei emigrati. Alcune mamme credono sia normale mettere le mani sui figli e chiedere pure al padre di intervenire con misure più gravi e traumatizzanti. Talvolta la violenza è anche sulla madre dinnanzi ai figli, la quale non immagina lontanamente il significato di violenza assistita. La maggior parte di queste donne non sanno nemmeno di essere responsabili del benessere fisico, mentale ed economico dei figli in egual misura del padre. Perché l’indipendenza economica e l’emancipazione attraverso il lavoro non viene visto di buon occhio in un paese straniero, senza tener conto di quanto è saturo il mercato lavorativo nella mano d’opera non specializzata. Alcune hanno il coraggio di denunciare, ma poche riescono a continuare il loro percorso di separazione dal partner violento. Poiché gran parte delle vittime soffrono della sindrome di Stoccolma, e talvolta non si fidano di operatori ed avvocati. Punto al quanto comprensibile viste le differenze di fondo sia sul piano legale che sul piano educativo.
Questo mix di ignoranza delle leggi e di sfiducia nelle istituzioni può portare anche a risultati fuorvianti come l’allontanamento definitivo di minori da entrambi i genitori. Rischio che aumenta quando la segnalazione viene fatta da scuola o altro e non dalla madre stessa.
Le donne migranti in caso di violenza domestica sono più vulnerabili di altre, e il più delle volte vivono la violenza sotto tante forme, oltre a quella fisica, vi può essere quella sessuale, economica e psicologica. Molte accettano la cultura della violenza e non pensano lontanamente di denunciare, altre hanno paura che le vengano tolti i figli e altre temono per la propria vita in caso di denuncia. Inoltre, la vittima si trova in un paese straniero, senza legami familiari. Anzi, in molti casi, la famiglia di origine spinge la donna a ritrattare e ritirare eventuali denunce. E questo intacca non di poco la sua figura materna, in quanto genitore responsabile.
Ed è proprio prendendo causa da queste difficoltà che è nato Progetto Aisha. Il progetto mira a valorizzare la figura femminile, favorendo la libertà di scelta della donna e la sua indipendenza sociale ed economica. Non esclude nessuna donna, indipendentemente dal credo o dal paese d’origine.
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L’Associazione di Promozione Sociale Progetto Aisha nasce il 5 Marzo 2016 e si costituisce come associazione il 13 Marzo 2017 con diversi obiettivi tra cui assistenza, sensibilizzazione e prevenzione, formazione.
Shaimaa El Roubeigy, tutor di lingua italiana per stranieri, è laureata in Scienze Politiche all’Università Statale di Milano 2012, con tesi di laurea intitolata “l’ijtihad femminista”.
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