Parità e partecipazione sul lavoro: diritti, non privilegi
Intervista a Loredana Taddei, Responsabile delle Politiche di Genere CGIL Nazionale
di Laura Grifi e Saveria Ottaviani
Una fotografia del mondo del lavoro: qual è la situazione delle donne nel mondo del lavoro, rispetto ai loro colleghi maschi?
Negli ultimi decenni è aumentata la partecipazione delle donne al mercato del lavoro in Europa, dove nel 2014 le donne avevano raggiunto il 46% delle persone attive nel mercato del lavoro. Ciò nonostante, i tassi di occupazione femminile continuano ad essere inferiori a quelli degli uomini in quasi tutti gli stati membri. Agli ultimi posti in classifica c’è Italia, dove è forte lo squilibrio di genere nel mondo del lavoro a sfavore delle donne, con il 70,6% degli uomini occupati e il 50,6% delle donne), così come è forte il divario territoriale tra Centro Nord e Mezzogiorno. Siamo dunque lontani anni luce dall’obiettivo già fissato dalla strategia di Lisbona, che prevedeva l’impiego del 60% di donne entro il 2010. Un obiettivo che, secondo la Banca d’Italia, e non solo, avrebbe fatto crescere il Pil del 7%, con ricadute positive per tutta la società. Anche i dati Eurostat confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, che il divario tra il numero di uomini e donne che lavorano è il maggiore in Europa, ad eccezione di Malta. Proprio nell’anno in cui è entrato in vigore il Jobs Act. La bassa occupazione delle donne è sintomatica di una condizione generale di disuguaglianza, come ha rilevato il Gender Equality Index elaborato dall’EIGE, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere.
Quali le priorità?
Sicuramente quella del superamento della mancata partecipazione femminile al lavoro, che ostacola lo sviluppo sociale ed economico dell’intero Paese, oltre a rappresentare una delle disuguaglianze più profonde, all’origine della crisi economica. Crisi che ha aggravato i problemi strutturali dell’occupazione femminile, soprattutto dal punto di vista delle discriminazioni e della qualità del lavoro: è diminuita l’occupazione qualificata, sono aumentati i fenomeni di segregazione verticale e orizzontale, è cresciuto il part time involontario, che impoverisce ulteriormente le retribuzioni. La bassa partecipazione al mercato del lavoro, la precarietà, il pay gap salariale, la mancanza di servizi e di un sistema di welfare, il nodo irrisolto della conciliazione tra lavoro e vita privata, rendono l’Italia tra i paesi peggiori per una donna lavoratrice. Le donne sono insomma, insieme ai giovani, le più penalizzate dalla crisi. Ѐ allora necessario e urgente un piano straordinario per l’occupazione femminile. In quest’ottica la Cgil ha presentato lo scorso mese nuove proposte contenute nel documento per il rilancio del Piano del Lavoro. La necessità d’interventi e di politiche maggiormente orientate in un’ottica di genere non risponde soltanto a un’elementare questione di equità fra i sessi, ma costituisce un vero e proprio volano per la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro. E se i risultati continuano a non esserci vuol dire che le strategie sono sbagliate e vanno corrette.
Come Responsabile delle Politiche di Genere della CGIL Nazionale, di cosa si occupa in particolare? Qual è la sua esperienza personale di donna lavoratrice?
Il nodo centrale su cui lavorare, dal mio punto vista, è quello del superamento delle disuguaglianze, sia dal versante culturale, che da quello economico, strettamente intrecciati tra loro. Come credo ogni donna, li ho vissuti anche nella mia esperienza personale. Basti pensare che fino a tempi recenti le donne erano incasellate tra le “categorie svantaggiate”. Ci sono voluti anni di battaglie per affermare il concetto, ancora non del tutto digerito, che non siamo ”una categoria”, ma siamo parte della società, la maggioranza. E non siamo affatto né “svantaggiate”, né da “tutelare”, o “proteggere”. Voglio solo ricordare che nel nostro Paese le donne sono 1,7 milioni più degli uomini e costituiscono il 60% circa di tutti i laureati.
A novembre ricorre l’Equal Pay Day, iniziativa istituita dall’Unione Europea, per denunciare il divario salariale tra uomini e donne. Qual è la situazione italiana rispetto al divario di salario? Il Sindacato cosa fa per affrontare questa ingiustizia?
Nel 1960, 56 anni fa, tutti insieme facevamo un importante passo in avanti verso la parità di genere, con un accordo interconfederale per il settore industriale, intitolato “parità salariale uomo-donna”, che prevedeva un inquadramento professionale non più riferito al sesso, principio inserito anche nella nostra Carta costituzionale, oltre che nei trattati dell’Unione europea. Oggi l’Italia è invece tra i paesi con la maggior differenza salariale tra uomini e donne. Che rimane un aspetto cruciale delle disuguaglianze per le donne nel mercato del lavoro. Una differenza salariale certificata dalla classifica annualmente stilata dal World Economic Forum che ci vede al 49esimo posto su 145 Paesi analizzati nell’indice di disparità di genere e per l’aspetto retributivo, a parità di ruolo, nella casella 109, decisamente in fondo alla classifica. Insomma, si tratta di mancata parità effettiva, a partire dal lavoro. La Cgil lo scorso anno ha avviato una campagna contro le disuguaglianze e le discriminazioni tra uomini e donne, mettendo l’accento sul carattere trasversale della parità, che viene spesso rimosso e trattato isolatamente, senza collegarlo con gli altri aspetti della vita economica, sociale e politica.
Immaginiamo che per la CGIL il raggiungimento della parità di genere sia una priorità. Gli uomini del sindacato sentono questa come una battaglia comune? In che modo avete sensibilizzato i vostri colleghi?
Questa domanda la girerei agli uomini del sindacato. Scherzi a parte, tradizionalmente quello del raggiungimento della parità di genere è un tema che donne e uomini della Cgil condividono. Certo le donne perseguono l’obiettivo con uno slancio diverso e si battono per contrastare un’antica cultura sociale che propende ancora oggi a trattare le varie tematiche in modalità “neutra”, che poi vuol dire al maschile. La sensibilizzazione verso i maschi è molto indirizzata in questa direzione.
La CGIL ha rilevato dati importanti riguardo la violenza contro le donne sui luoghi di lavoro? Cosa fate per combattere molestie e violenza?
Il tema della violenza di genere per la prima volta è diventato finalmente materia di intervento politico, nell’ambito delle disposizioni che regolano i rapporti di lavoro, con il congedo per le donne che intraprendono percorsi di protezione previsto dal Jobs Act. Ѐ però importante estendere alle lavoratrici del comparto domestico i benefici previsti per i settori pubblico e privato e prevedere incentivi fiscali per la formazione e l’assunzione delle vittime di violenza di genere incluse in percorsi di inserimento e reinserimento sociale e lavorativo, anche attraverso la contrattazione di secondo livello. Inoltre è necessario dare seguito a questa svolta culturale affrontando il tema dell’occupazione per le donne che sono costrette a lasciare casa, senza un reddito da lavoro o talvolta anche a dimettersi dal posto di lavoro, per intraprendere il percorso nei centri antiviolenza, finito il quale non trovano occupazione. Una buona pratica in campo è stata avviata in Inghilterra con il cosiddetto metodo Scotland, che ha drasticamente ridotto la violenza domestica nel Regno Unito: solo a Londra in sette anni le vittime sono calate del 90 per cento. Alla base del modello inglese c’è il coordinamento, ovvero partnership, perché né il governo, né le aziende, né le istituzioni, né le associazioni possono farcela da sole. Superare le divisioni, le differenze di approccio, è d’obbligo. Questo nuovo approccio ha reso possibile anche una diminuzione dei costi della violenza domestica, che da una ricerca condotta dalla Scotland si aggiravano intorno ai 23 miliardi di sterline annui. Numeri dietro ai quali ci sono vite umane e il sogno di una società più civile.
Riguardo le violenze e molestie nei luoghi di lavoro, ci sono voluti nove anni perché in Italia venisse recepito l’Accordo Quadro europeo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro del 26 aprile 2007 e siglato a gennaio di quest’anno da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Con questo importante accordo, anche il nostro Paese sancisce finalmente l’inaccettabilità di comportamenti che si configurano come molestie o violenza e che vanno denunciati con la necessaria collaborazione di lavoratori e imprese, affinché negli ambienti di lavoro sia rispettata la dignità delle donne e degli uomini.
Dottoressa Taddei, un messaggio alle donne lavoratrici?
Mi piace ricordare una frase in apparenza semplice del film “We Want Sex”, tratto da un fatto realmente accaduto nel 1968, quando 187 operaie della Ford di Dagenham osarono sfidare il colosso americano, il primo ministro laburista Wilson e il malcontento dei mariti. Loro organizzarono la prima grande rivendicazione delle donne, che portò alla legge sulla parità di retribuzione, per ottenere un salario equiparato a quello maschile: “Ragazze quelli che chiediamo sono diritti e non privilegi”.
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