La violenza dell’indifferenza
di Elisa Guerriero
Un antico proverbio degli indiani Sioux recita: “prima di giudicare una persona cammina tre lune nelle sue scarpe”. Non esiste immagine migliore per affrontare e comprendere il tema delle migrazioni. I dati statistici a livello internazionale ci testimoniano un mondo estremamente dinamico: milioni di persone in movimento che attraversano confini nazionali per i motivi più diversificati. C’è chi si sposta per pochi giorni e chi per sempre; chi scappa da guerre, chi dalla fame e chi semplicemente per affrontare nuove esperienze. Milioni di persone, milioni di storie e milioni di legami familiari. Non è possibile comprendere il mondo delle migrazioni senza assumere un atteggiamento empatico, provare a capire l’altro immaginandosi l’altro stesso, indossando le sue scarpe. La mera lettura di numeri e statistiche può facilmente farci sentire minacciati e “invasi”, se non si pensa che ognuno di quei numeri è in realtà una persona con una storia unica e troppo spesso disastrosa. Nessuno abbandona le proprie certezze senza una valida motivazione, ma soprattutto, solo la disperazione spinge le persone verso la speranza di una nuova opportunità di vita così piena di insicurezze.
Raramente i media ci raccontano cosa ha spinto una persona a partire e ancora più raramente ci viene raccontato quanto è atroce il viaggio che viene affrontato. Questo è vero in particolare per i migranti forzati. Dati UNHCR ci dicono che ogni secondo una persona è costretta a lasciare il proprio stato per scappare da guerre o persecuzioni, questo vuol dire che una volta letto quest’articolo saranno fuggite circa 240 persone.
Essere migrante comporta un cambiamento radicale nella propria vita, essere un migrante forzato aggiunge dolori fisici e psicologici ed essere donna aggrava ancor più questa condizione. Sì, perché per una donna la migrazione pone nuovi elementi di vulnerabilità. La maggior parte delle storie che vengono raccontate da donne migranti, provenienti da varie parti del mondo, hanno come comun denominatore dei vissuti di violenza. Non a caso la stessa legislazione internazionale ha riconosciuto la necessità di valutare le storie delle richiedenti asilo politico attraverso l’approccio gender sensitive. L’obiettivo è quello di analizzare gli elementi di connessione esistenti tra la storia di persecuzione e la violenza di genere come una fattispecie ad hoc per il riconoscimento dello status di rifugiata.
Quando la persecuzione è agita nei confronti di una donna la violenza passerà quasi certamente attraverso stupri, il fine è sempre lo stesso: annientare la persona che abbiamo di fronte infliggendo delle cicatrici più profonde. Il corpo e la psicologia vengono distrutte lentamente e brutalmente. Questo non avviene solo in relazione alla persecuzione nello stato di appartenenza, ma spesso durante tutte le tappe del viaggio. Quello stesso corpo violato diventerà merce di scambio e ancora oggetto di innumerevoli soprusi. Molto spesso queste donne sono madri che hanno visto torturare e morire i propri figli o comunque sono state costrette ad allontanarsi da loro nella speranza di riuscire a garantirgli un futuro migliore, anche se a distanza, anche a costo di perdere i momenti di vita insieme.
Ascoltare queste storie fa venire voglia di scappare. A volte è difficile pensare che chi abbia subito così tanta violenza e ingiustizie riesca ancora a vivere e abbia voglia di migliorare la propria esistenza. Ognuno/a di noi dovrebbe provare a immaginare che da domani non potrà più seguire le sorti del/lla proprio/a figlio/a; che la nostra confortevole casa si trasformerà in un posto letto in una camerata con altre decine di sconosciuti; che tutto di un colpo saremo circondati da persone che non comprendiamo e che spesso inveiscono contro di noi senza avere neanche troppo chiaro il perché. Indossare quelle scarpe ci farebbe sentire come possono fare male i piedi dopo tanto fuggire e probabilmente aiuterebbe a sentirci meno minacciati e più solidali. Capiremmo che anche l’indifferenza è a tutti gli effetti una forma di violenza, solo allora forse riusciremmo finalmente a comprendere e agire in modo tale da alleviare, anche se in minima parte, la vita di una persona.
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