La disparità di genere nel lavoro mostra e rafforza la costruzione sociale dei ruoli
di Katia Iudicelli
Controllo sociale, limitazioni e disparità di genere con subordinazione della donna, rappresentano forse per il capitalismo un “bene” da garantire anziché un “ostacolo” da superare? Quanti soffitti di cristallo ci sono ancora da infrangere prima che la parità di genere, diritto fondamentale e condizione necessaria per una Società che si definisce civile, sia realmente raggiunta? Quali strategie mettere in campo per garantire pari opportunità a uomini e donne?
La disparità uomo-donna o Gender Gap, discriminazione fondata sul sesso, che è uno dei presupposti culturali della violenza contro le donne, si manifesta con forza nell’ambito del lavoro. Da tempo l’Europa ha posto la parità di genere come valore fondante dell’Unione Europea; negli anni le normative nazionali e internazionali si sono evolute e si sono avuti dei progressi. In passato, le donne avevano un accesso limitato all’istruzione, erano educate a non avere aspirazioni, non potevano quindi accedere a qualsiasi posizione lavorativa tanto meno a pubblici impieghi e ricevevano retribuzioni inferiori. Attualmente le donne possono conseguire un livello d’istruzione più alto, avere aspettative maggiori e, fino ad un certo punto, possono credere di avere le stesse opportunità degli uomini.
Diverse ricerche evidenziano come, nonostante i traguardi raggiunti, le disuguaglianze tra i sessi persistano ancora in riferimento a istruzione, sia in termini di preferenze delle materie che di esiti degli studi per cui le donne, anche mediamente più istruite, sono più precarie degli uomini; accesso al mondo del lavoro, che continua a essere più ostico per il genere femminile; molestie e ricatti sul lavoro, a cui le donne sono maggiormente sottoposte. La difficoltà/impossibilità a entrare nel mondo del lavoro, diventa ancora più complessa quando le donne vivono condizioni estreme come quelle della violenza. La precarietà lavorativa con cui si scontrano, infatti, può diventare humus per la violenza economica, una delle forme con cui si manifesta la violenza domestica. La scarsa e/o mancata possibilità di lavorare e quindi di avere un’indipendenza economica, è uno dei fattori che ritarda la scelta delle donne di allontanarsi dalla violenza, di denunciare e di ricostruire la propria vita.
Da vari rapporti risulta che a parità di prestazione le donne guadagnano meno degli uomini (gender pay gap), da anziane percepiscono una pensione più bassa e sono più esposte al rischio di povertà. Si delinea una struttura societaria complessa all’interno della quale le donne lottano duramente per cercare di trovare uno spazio. È chiaro come la parità di genere, intesa come riconoscimento di persone, ognuna con le proprie caratteristiche che, a prescindere dal sesso biologico, hanno pari dignità, diritti e opportunità, è ancora lontana. Come mai, nel mondo dell’occupazione e dell’impiego, le donne non possono godere delle stesse opportunità degli uomini? Eppure di passi avanti ne sono stati compiuti, in primis, la crescita del livello di scolarità femminile, da quando le donne non sono più escluse da istruzione e formazione, e l’inserimento nel mondo occupazionale (certo più di tipo manuale che decisionale!).
E’ plausibile ritenere che l’accesso all’istruzione e quindi al sapere determini l’immagine di sé, le aspirazioni e dunque le opportunità lavorative? Il sistema di istruzione e formazione formale (Scuole di ogni ordine e grado) e quello informale (famiglia e società in senso ampio), rappresentando le più importanti agenzie educative, influenzano fortemente la nostra crescita personale, professionale e sociale. L’istruzione, in particolare, è da intendersi non solo in senso scolastico, ma anche formativo-professionale ed educativo. Nei contesti preposti all’apprendimento e alla formazione professionale, bambini e bambine crescono educati a nutrire certe aspettative, ad agire determinati comportamenti e ad assumere i ruoli che nella visione collettiva sono considerati adeguati per uomini e donne. La stessa Convenzione di Istanbul all’art. 3, lett. c, sottolinea quanto vi è di socialmente costruito nell’essere uomini o donne. Un sistema all’interno del quale i ruoli maschili e femminili derivano da una costruzione storico-sociale, vengono affidati in base al sesso di appartenenza e trasmessi attraverso le principali agenzie educative produce, inevitabilmente, posizioni di partenza ineguali per uomini e donne e di conseguenza differenti opportunità tra lavoratori e lavoratrici.
La disparità di genere nel lavoro, dunque, mostra e al contempo rafforza la costruzione sociale dei ruoli. Ecco che, ancora oggi, gli uomini mantengono un ruolo centrale nel mercato del lavoro, ai vertici del potere e hanno maggior denaro, mentre alle donne resta un ruolo marginale nella sfera della produttività e di primo piano nella sfera dell’affettività, della cura e della gestione della casa. Ma se le condizioni di uomini e donne sono costrutti sociali, allora si possono trasformare: trent’anni fa una ragazza non avrebbe potuto immaginare di fare la poliziotta, la magistrata, la ministra, perché “educata” a credere di non poterlo fare con un ordinamento giuridico che cristallizzava questi divieti. La collettività intera ha una responsabilità nella costruzione di schemi che possono o favorire o contrastare un modello sociale fondato sul rispetto di uomini donne. Un Paese che aspira ad una reale crescita sociale, politica, economica non può prescindere dall’uguaglianza di genere anche nel mercato del lavoro, da modelli di Welfare che promuovano la condivisione delle responsabilità, facilitino la conciliazione dei tempi lavoro e maternità e incoraggino la possibilità di carriera per le donne. Nell’attuare interventi strutturali e riforme tese al raggiungimento delle pari opportunità ricordiamoci, però, il ruolo fondamentale dell’educazione alla parità di genere: un’educazione che non annulli le diversità, ma le valorizzi; un’educazione che non ingabbi in ruoli rigidi e stereotipati; un’educazione che sappia guardare oltre i generi e formi “persone” quindi “società” capaci di garantire pari dignità, pari diritti e pari opportunità.
FONTI
http://www.europarl.europa.eu/atyourservice/it/displayFtu.html?ftuId=FTU_5.10.8.html
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A12012E%2FTXT
http://www3.weforum.org/docs/GGGR2015/cover.pdf
http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/index_it.htm
scarica qui .pdf del numero di novembre 2016