Intervista a Maria Iole Volpi, calciatrice e allenatrice
di Federica Buffa
Maria Iole Volpi, com’è allenare una squadra femminile di calcio? Pensi ci siano delle differenze rispetto a una maschile?
Ho deciso di allenare squadre femminili perché rappresentano il mondo che ho scelto ed è la cosa più naturale che io possa fare. Sono cresciuta in un contesto calcistico femminile mi trovo a mio agio e capisco molte dinamiche che magari nel mondo maschile non conosco. Per me allenare nel calcio significa allenare nello sport, non ci sono differenze tra maschi e femmine. Forse è il mio modo di essere donna che incide diversamente sulle ragazze che alleno. Parlo ad esempio del livello di emotività e di carattere.
Parlando di fisicità e tecnica, pensi ci siano delle differenze?
Sì, ma non significa che le donne valgano meno degli uomini in questo sport. Secondo me le donne sono più tecniche e intelligenti, e questa cosa ci tengo a sottolinearla. Ci sono delle differenze fisiche proprio per una questione biologica. Per questo la donna cura molto di più l’aspetto tecnico. Questa tecnica negli uomini si vede meno, sono molto più fisici nel gioco. Poi chiaramente se parliamo di alti livelli come la serie A, c’è una componente tecnica maggiore.
Da calciatrice hai incontrato ostacoli o difficoltà? È cambiato qualcosa nel mondo del calcio per le donne?
L’ostacolo più grande è stato la “non conoscenza”. Vivevo a Rieti, amavo il calcio e non sapevo della possibilità di giocare in una squadra femminile, oppure di poter giocare in una squadra maschile. Credo che sia ancora un problema attuale. C’è un episodio che mi ha colpito tantissimo. A tredici anni ero in aeroporto con mia madre e vidi la nazionale femminile di calcio. Vedendole sono corsa da mia madre a dirglielo, poi sono andata da loro facendo una domanda che poi nel corso degli anni è stata fatta anche a me “Voi giocate a calcio? È una squadra femminile?”. Poi due anni dopo con alcune ci ho giocato insieme. Mi ritengo molto fortunata perché ho avuto una famiglia alle spalle che mi ha sostenuta portandomi ogni volta agli allenamenti da Rieti a Roma. Non tutte hanno questa fortuna.
Secondo te una bambina che oggi vuole giocare a calcio può incontrare degli ostacoli, dato che il calcio è visto soprattutto come uno sport maschile?
La situazione è migliorata. Ho conosciuto tanti genitori che non volevano che le figlie giocassero per vari motivi, come la paura delle gambe storte o che le bambine potessero diventare “maschiacci”. Io ho sempre risposto di farle provare e questi stessi genitori oggi mi ringraziano. Purtroppo, siamo almeno quindici anni indietro rispetto ad altri paesi europei. Negli ultimi quattro anni c’è stata una svolta, soprattutto grazie alla UEFA che ha dato alcune imposizioni, facendo leva sulle società professioniste che sono state obbligate a creare il settore femminile. Stiamo già cambiando qualcosa mettendo in pratica quello che facciamo ogni giorno, dando a molte bambine la possibilità di giocare.
Come vedi questa partecipazione ai Mondiali femminili, pensi che stia veramente cambiando qualcosa?
L’esclusione dai Mondiali della squadra maschile ha influenzato un po’ la questione. Penso che il destino abbia dato la possibilità di accendere i riflettori sulle squadre femminili perché ad oggi i media e le televisioni ne parlano. La qualificazione ai Mondiali non è stata un caso perché finalmente a guidare la nazionale femminile c’è una donna competente, Milena Bertolini. Sono anni che vive il calcio femminile, è una persona che ha un’esperienza reale. Prima sono sempre stati incaricati allenatori uomini. Finalmente le ragazze hanno la possibilità di fare le atlete a 360 gradi. Siamo ancora lontane dagli standard degli uomini, chiediamo solo la possibilità di poter scegliere di fare questo, di giocare a calcio e di poterlo fare bene. Ci sono state atlete che potevano portare avanti la nostra nazionale e nel passato non hanno potuto farlo perché hanno dovuto scegliere tra calcio e lavoro.
Nel mondo delle squadre maschili del calcio girano molti soldi, pensi che l’aspetto economico penalizzi quelle femminili?
Secondo me la nostra cultura dipende dalle televisioni, è chiaro che sia diventato tutto un discorso di soldi. La mia speranza è che entrino soldi nel calcio femminile, però senza perdere la pura passione e l’autenticità che ci ha sempre contraddistinte. L’importante è non dimenticare tutto quello che è stato fatto per arrivare dove siamo ora. Da giocatrice ho fatto delle scelte perché legata ad un progetto. Sono rimasta alla Roma femminile anche quando questa dalla serie A è retrocessa in B, ha poi rinunciato al titolo di B e ha ricominciato dalla serie C. Nella scuola calcio dove alleno ora, all’inizio le bambine erano veramente poche, stavamo per mollare. Ma piano piano la situazione è migliorata. Bisogna crederci, fare bene le cose e farle con le persone giuste che ti rispettano.
Secondo te cosa si potrebbe ancora fare per far crescere le squadre femminili di calcio, tenendo conto anche degli ultimi episodi di cronaca molto discriminatori nei confronti delle donne?
Il problema non è il calcio femminile, ma la mentalità e la cultura. Certi episodi non vanno puniti e sanzionati a livello sportivo, ma in generale. Si potrebbero utilizzare per far risaltare quanto ancora c’è da cambiare. Sono ottimista di natura, credo sempre che le cose possano cambiare e stanno cambiando.
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Maria Iole Volpi è calciatrice e attuale allenatrice di una squadra femminile appartenente a società di serie A. Gioca dall’età di 15 anni e nella sua carriera è stata tesserata nella S.S. Lazio e nell’ A.S. Roma. Attualmente gioca con la squadra femminile dell’Atletico San Lorenzo, allena la squadra femminile Liberi Nantes ed è la referente territoriale della squadra “Insuperabili”, scuola calcio per disabili.
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