Il privilegio più antico del mondo
di Giulia Nanni
Secondo alcune stime, nel mondo ci sono tra le 40 e le 42 milioni di persone che si prostituiscono: i tre quarti hanno un’età compresa tra i 13 e i 25 anni e ben 2 milioni sono minori. La percentuale di donne si avvicina all’80% e, in Europa, 9 prostitute su 10 vorrebbero smettere ma non si sentono in grado di farlo. In Italia ci sono 9 milioni di clienti: circa un uomo su 3. Forse la prostituzione non è poi così lontana da tutte/i noi.
Madonna/Prostituta è la dicotomia con cui la società, da sempre, divide le donne; due estremi, entrambi basati sulla rimozione del desiderio sessuale femminile. La prima non ne ha bisogno, rinuncia al proprio corpo, ed è “pura” per questo. La seconda il corpo lo vende, esiste per rispondere e soddisfare i desideri dell’uomo ed è “sporca” nonostante questo. Pensiamo mai all’identità delle donne? Alla loro sessualità, al loro piacere e alla loro completezza? Ed è proprio sulla base di questo che noi, in quanto donne, è il diritto a non essere prostitute, pur essendo libere, che vogliamo difendere e non quello di poter essere prostitute per essere libere. Libere di fare cosa? Di vendere qualcosa che nemmeno possediamo veramente? È la società patriarcale che decide cosa è bello e cosa è brutto; decide quanto vale il nostro corpo, che prezzo esso debba avere. Siamo prezzate sulla base dell’età, del peso, del colore della pelle, etc. Il denaro introduce un’immediata asimmetria nel rapporto: un essere umano riduce un altro in un oggetto e, nell’80% dei casi, l’oggetto è donna. C’è il mercato e ci sono le donne-merce. Anche il più generico consumismo ha come punto di forza la prostituzione simbolica del corpo femminile, nella sua continua riduzione e mero oggetto del desiderio sessuale maschile. Come può coincidere la libertà della donna di fare ciò che desidera del proprio corpo, con la libertà dell’uomo di acquistarlo?
La realtà è che, nel mondo, a parità di mansione e incarico, le donne guadagnano meno degli uomini tranne in un unico caso: quando vendono il loro corpo. Le prostitute subiscono le più varie forme di oppressione: dallo sfruttamento alla marginalizzazione, dall’impotenza alla violenza. Ci rifiutiamo, quindi, di definire lavoro un fenomeno che, oltre a quanto detto, genera un tasso di mortalità 40 volte superiore a quello di qualsiasi attività lavorativa. Del resto, dibattere sul potenziale retributivo della prostituzione è disonesto poiché gli esseri umani non hanno e non devono avere prezzo.
La discriminazione contro le donne si riferisce a qualsiasi forma di esclusione o restrizione basata sul genere che ne nega la parità rispetto agli uomini, che diminuisce il loro riconoscimento sociale e la possibilità di avere le stesse libertà in tutti i campi: politico, economico, sociale, culturale e civile. E la prostituzione è proprio questo.
Riteniamo che sia l’espressione massima della subordinazione tra i generi; il simbolo per eccellenza della mercificazione delle donne; causa e conseguenza del continuo rafforzamento della disparità tra uomo e donna. È legittimazione dello stupro sociale: accade sotto gli occhi di tutti e tutte, nell’indifferenza o con il consenso di molti/e. La società e, soprattutto, il cliente scelgono di non interessarsi alla prostituta perché la cultura di cui siamo intrisi/e ritiene ancora che la donna debba essere a disposizione sessuale dell’uomo.
Consigliereste mai alla vostra compagna, sorella, figlia la prostituzione? E le prostitute non sono forse le compagne, sorelle, figlie di qualcuno? È in gioco la società in cui vogliamo vivere e ci rifiutiamo di continuare ad accettare una tale forma di deresponsabilizzazione.
La prostituzione inoltre, è strettamente connessa alla tratta degli esseri umani, due fenomeni che si alimentano a vicenda: in ogni mercato che si rispetti l’offerta risponde alla domanda e, per soddisfare la richiesta di prestazioni sessuali a pagamento, la criminalità organizzata provvede a trafficare le donne.
La disuguaglianza di genere come causa di fondo della tratta e, quindi, della prostituzione è riconosciuta anche dall’UE che, con la direttiva 2011/36/UE, impone di porre in essere azioni gender-specific per il contrasto del fenomeno. Nel febbraio scorso, il Governo italiano ha recepito la direttiva, adottando il primo Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento, riconoscendone anch’esso la specificità di genere. Tra le azioni di prevenzione, il Piano si prefigge anche di “porre in essere attività volte a scoraggiare la domanda di servizi offerti dalle vittime di tratta” e proprio in questa direzione, riteniamo che la riduzione della domanda di sesso a pagamento possa, con il tempo, arginare una tale violazione dei diritti umani, stimolare una maggiore presa di coscienza della collettività e favorire la costruzione di una società più paritaria tra uomini e donne. La c.d. criminalizzazione del cliente, introdotta dalla Svezia, vige oggi anche in Norvegia, Islanda, Canada e Francia.
Lottiamo per i diritti delle donne, soprattutto per coloro che non possono farlo e che ne pagano il prezzo maggiore.
FOCUS SUL TEMA
Solitamente parlare di prostituzione equivale a parlare di prostitute; invece, il fenomeno in questione è estremamente complesso e solo una visione olistica dello stesso permette di comprenderlo e di porre in essere strategie adeguate. Proprio per questo riteniamo sia importante precisare che non c’è solo la prostituta ma che gli attori in gioco sono tre: l’uomo, la donna e la criminalità organizzata.
Nonostante le opinioni sulla prostituzione siano estremamente varie e discordanti tra loro, senza scendere nello specifico, sintetizzeremo le più grandi linee di pensiero, tenendo presente che poi, nei dettagli, sono declinate in modo diverso da Paese in Paese.
Il proibizionismo, presente in gran parte del mondo, prevede pene più o meno severe per le prostitute. Rispondendo al principio della deterrenza, si trova ad agire sulle manifestazioni e non sulle cause della prostituzione.
La regolamentazione considera la prostituzione un lavoro; ne accetta l’esistenza e le riconosce uno spazio economico e sociale. Alcuni stati prevedono una legalizzazione a monopolio statale, come quella italiana prima del 1958, altri gestita dal settore privato. Ne sono esempio più conosciuto l’Olanda e la Germania.
L’abolizionismo, che vige anche in Italia, fa riferimento alla convenzione ONU del 1949, per la repressione della tratta e dello sfruttamento della prostituzione, che considera quest’ultima incompatibile con la dignità e il valore della persona umana. Ritiene che la prostituzione non è una normale attività commerciale e, per sfavorirla, penalizza tutte le attività a essa connesse: favoreggiamento, induzione, reclutamento, sfruttamento, gestione di case, etc. Al tempo stesso però, non la definisce illegale di per sé: non criminalizza né la donna-prostituta, né l’uomo-cliente.
L’approccio più recente è quello neoproibizionista (modello nordico) che, al contrario del primo, considera le prostitute delle vittime e punisce i clienti con una multa. L’acquisto di prestazioni sessuali è considerato una violenza nei confronti delle donne; un serio problema che causa danni all’individuo e alla società: l’uguaglianza tra i sessi non potrà essere ottenuta fino a quando gli uomini continueranno a comprare, vendere e sfruttare le donne.
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