Il corpo legislativo
di Daniela Marcuccio
Per secoli il corpo delle donne è stato coniugato alla sessualità come valore da controllare a fini di ordine pubblico, ora in nome dell’onore (altrui), ora per garantire la discendenza attraverso la fecondazione, ora per difendere la morale pubblica. Trattandosi di questione di ordine pubblico, l’intervento è competenza del diritto penale. Il codice penale (del 1930) conferiva rilevanza di causa di giustificazione al movente dell’“offesa all’onor suo e della sua famiglia” che determinava a uccidere “il coniuge, la figlia o la sorella” (art.587 c.p). L’autore del reato era quindi il maschio. E valutava il matrimonio riparatore causa di estinzione del reato di sequestro di persona e violenza carnale (art.544 c.p.). Le due norme, prodotto inconfutabile della cultura patriarcale, furono abrogate soltanto nel 1981, sei anni dopo il nuovo diritto di famiglia (l.n.151/1975), grazie alle pressioni del movimento delle donne le cui denunce avevano reso ormai improcrastinabile l’intervento.
Il poter decidere della propria sessualità era la rivendicazione indispensabile per riappropriarsi del corpo e della soggettività come le femministe urlavano a gran voce ovunque. La stessa legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza ha consacrato solennemente il protagonismo della donna rispetto a una delle vicende più drammatiche dell’esistenza femminile. Fino ad allora con il reato di aborto si era preteso di “scorporare” l’evento gravidanza dal corpo della persona che la porta avanti. Questo effetto si otterrebbe anche se si riconoscesse lo status di persona al concepito, come da anni alcuni movimenti per la vita chiedono, provocando la tacita abrogazione della 194 perché si esproprierebbe nuovamente la donna della decisione di sé. Infatti parlare del concepito come di una persona significa attribuirgli capacità e soggettività giuridica autonome rispetto a quella della donna che lo porta in grembo, con la quale entrerebbe in conflitto qualora la stessa decidesse di interrompere la gravidanza o fosse costretta a farlo, come nel caso di necessarie cure chemioterapiche. Tecnicamente si nominerebbe un tutore del concepito, autorizzato a prendere una decisione sul corpo della futura madre, anche contro la sua volontà.
Il cambiamento culturale attivato negli anni settanta dovette tuttavia attendere a lungo compiutezza perché la legge sullo stupro, reato contro la persona e non più contro la moralità pubblica, fu approvata soltanto nel 1996. Il reato di violenza sessuale diventa così reato contro la libertà della persona-donna, diventa stupro qualsiasi atto sul corpo della donna compiuto senza il di lei consenso. Si tutela una fisicità, che è corpo e anima, non più disponibile “da” altri se non la donna medesima. La stessa nomenclatura ha sostituito alla locuzione violenza carnale, violazione della carne-corpo-cosa, la più appropriata violenza sessuale, violazione della sessualità-valore, finalmente costringendo a ripensare la relazione tra i sessi nel senso del rispetto.
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