Donne e sport: libere di giocare
di Daniela Marcuccio
“Mentre corri…alza lo sguardo e guardami, sorridimi, salutami, ché non ti sono rivale ma sorella, e quando corro al sole con la fronte madida di sudore o nel buio di un’alba non ancora nata lo faccio per me, per sentirmi bene percorrendo pensieri leggeri come piume o profondi come pozzi accompagnata dal rumore dei miei passi come il battito di un cuore”. Questo è l’incoraggiamento dedicato a ogni donna che si avvicini al podismo amatoriale, una competizione quotidiana con sé stesse, utile percorso di “empowerment”, al pari di ogni altra attività sportiva, che sia agonistica e non. Il running su strada, o comunque outdoor, è sempre più diffuso, per fortuna! Sport a portata di ogni tasca, anzi certamente quello meno dispendioso (occorrono soltanto vere scarpe da corsa, un vecchio pantaloncino, una t-shirt e/o una felpa e un reggiseno ben strutturato che possa contenere gli effetti collaterali dei sobbalzi), è praticabile con estrema facilità ma tanta buona volontà. E tanto tempo, tempo per sé, che molte donne ritagliano e compongono ancora come un origami sui minuti degli altri, sempre molto più lunghi dei propri. Nelle prime ore dell’alba è infatti molto più probabile incontrare donne in corsa per strada – in barba alla paura – prova evidente che quella è l’ora più facile per l’emancipazione dagli impegni familiari. È poi necessario sentirsi serenamente libere di correre in solitaria senza la molesta tiritera di fischi, apprezzamenti non graditi, non richiesti incoraggiamenti, che a nessun maschio in corsa mai una donna riserva. I forti condizionamenti della cultura dell’edonismo consumista plagiano ancora molto più le donne incoraggiandole a fare sport “per essere in forma per piacere” assillandole con l’ansia dell’avere “tutto a posto”, anche quando magari si stanno per affrontare chilometri di asfalto e tutto il di più è orpello inutile perché fastidioso. Fare un training quotidiano di corsa podistica aiuta proprio a superare l’ansia dello specchio e dell’occhio altrui e più si eccitano le endorfine meglio si riesce a superare questo “blocco mentale”: in poche parole si comincia a non dar alcun peso agli sguardi degli altri; si scavalca qualsiasi giudizio, si aggredisce la strada metro dopo metro, chilometro dopo chilometro e nessuno sa quando né da dove sei partita quindi nessun confronto è possibile se non quello che fai con te stessa a ogni allenamento. Tra i consigli di donne a donne, pubblicati sulle riviste specialistiche, compare spesso proprio quello di allenarsi sui propri tempi e sui propri progressi senza tener conto di parametri misurati su performance “neutre”. Il running è una scommessa continua con le nostre trappole interiori e con le maglie delle reti che ancora ci vengono lanciate addosso. Prendiamo ad esempio la regina del podismo su strada: la Maratona… 42 chilometri e 197 metri di passione, corsi di testa ma sulle gambe. Chiunque tagli la finish line riceve la meritata medaglia perché ha vinto: ha vinto la fatica fisica, ha vinto lo scoraggiamento, ha vinto la tentazione del “ma chi me lo fa’ fare”, ha messo in poche parole in gioco il proprio empowerment, e per questo forse ogni donna che ama correre dovrebbe misurarsi con questa gara. All’arrivo si piange, si piange quasi tutti e tutte con un livellamento delle emozioni che fa sentire veramente uguali. Scorriamo un po’ di numeri: alla Maratona di Roma del 7 aprile ultimo scorso su 10.000 partecipanti gli uomini iscritti sono stati 7966 e le donne 2034. Roma, Berlino, Parigi, tre delle maratone più quotate in Europa, presentano un rapporto uomini/donne alla partenza e all’arrivo assestato ancora su una percentuale di 75% per i maschi a 25% per le donne. Solo la Maratona di Londra ha fatto registrare negli ultimi anni un aumento degli arrivi femminili fino al 39%. Al contrario la Maratona di New York, la chimera di ogni runner dilettante, ha registrato una progressiva crescita della presenza femminile con un’impennata dal 2011 fino a 20.000 donne contro i 30.000 maschi su un totale di 51.000 iscrizioni nel 2018. Al mitico traguardo in Central Park l’arrivo di donne si attesta ormai intorno al 40% del totale. Questi dati dimostrano che dall’altra parte dell’Oceano il tessuto culturale ha già sciolto i nodi pregiudicanti la parità, sia dell’organizzazione dei tempi di vita che degli stereotipi culturali. Noi di Rising, oltre a praticare il running amatoriale, vivendo così personalmente il diritto di accedere alla libertà del nostro essere, continueremo a monitorare gli adeguamenti delle performance sociali alla cultura della parità di genere. Incoraggeremo ogni donna a superare barriere proprie e pregiudizi esterni prendendosi cura della diversità della nostra propria fisicità, salvaguardandola da umilianti esclusioni. Sosterremo altresì ogni politica che facendo propria la cultura del rispetto, programmi percorsi di inclusione della diversità, a qualsiasi livello della variegata umanità, attraverso la pratica sportiva.
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