Dilettanti o professioniste?
di Giusy Coronato
Le atlete nello sport italiano sono dilettanti o professioniste? Quando ci si avvicina all’argomento si rimane spesso sorpresi e increduli della risposta. Provate anche voi a rispondere alla seguente domanda e a farla alle persone a voi vicine: “Pensa a un’atleta famosa nello sport: credi sia una professionista o una dilettante? Lo fanno per piacere o è per loro un lavoro?” Le risposte sono state quasi sempre le stesse: “Facile, no? Sono tutte professioniste! Chi pratica uno sport da dilettante lo fa per piacere, non per lucro né per professione.”
Invece no. Nel 1981 la legge n. 91 sul professionismo sportivo all’articolo 2 afferma che: “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.
Significa che possono definirsi professionisti solo gli atleti che svolgono la loro attività nelle federazioni che sono riconosciute dal CONI come discipline sportive professioniste. Quali sono ad oggi tali discipline? Il calcio, il ciclismo, il golf e la pallacanestro solo maschili. Mentre tutti i restanti sport e soprattutto tutte le discipline femminili sono escluse. Nessuna donna oggi può definirsi un’atleta professionista. E nel concreto cosa significa? No allo statuto dei lavoratori; no all’infortunio e al trattamento pensionistico; no a maternità e a malattia. Questo comporta una discriminazione alla base per tutte le sportive che non rientrano nelle categorie e che devono sottostare per forza alle logiche dei contratti con gli sponsor, rimborsi spese e bonus. È del maggio 2019 la notizia che la Nike, sponsor ufficiale di molte atlete a livello mondiale, ha fatto dietro front sulle politiche aziendali in tema di maternità, che prevedevano la sospensione del contratto durante la gravidanza e nel periodo post, fino a quando non recuperavano la forma fisica ideale e le stesse performance. Solo dal mese scorso la Nike ha dichiarato di aver cambiato la propria policy e che le atlete potranno contare su un contratto che non le penalizza e che sostiene la maternità. Un altro escamotage usato da molte atlete italiane, per poter essere tutelate nella loro attività, è quello di entrare a far parte di un gruppo armato: Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri, Forestale.
Modificare questa legge permetterebbe a tutte le sportive di poter vivere facendo ciò in cui sono brave, di potersi dedicare completamente e senza preoccupazioni alla loro professione, di decidere se vogliono avere dei figli e non rischiare di rimanere senza lavoro, di aver riconosciuto i diritti fondamentali del lavoratore: la retribuzione, il riposo, le ferie, il congedo matrimoniale, la maternità, la malattia, l’infortunio, la malattia professionale, la sicurezza sul lavoro, l’attività sindacale e la parità tra uomo e donna. Ciò che tutte noi chiediamo.
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