Costrizione e resilienza
di Simone de Simone
Costrizione e resilienza credo siano le parole e i concetti che meglio esprimano quanto la figura della donna migrante forzata ci possa restituire. È ciò che mi suggerisce intuitivamente l’esperienza di lavoro sul campo con donne e uomini migranti forzati incontrati in questi anni.
Le donne appunto: Mhret, Sunday, Suraya, nomi e provenienze diverse che ci raccontano storie di vita e di migrazione differenti. Tutte però segnate da tratti comuni che ne hanno determinato il destino migratorio caratterizzato da violenza e costrizione.
Si parte per fuggire da violenza domestica, da abusi, da allontanamenti dalle famiglie o dai gruppi di appartenenza, da matrimoni forzati, da pratiche come l’infibulazione, intrappolate dalle reti di sfruttatori. In tutti i casi il corpo delle donne è il luogo fisico e simbolico per agire la violenza della sopraffazione e dell’annientamento raffigurativo dell’Altro. In ogni biografia la drammaticità della violenza che le pervade è caratterizzata dalla manipolazione fisica e simbolica del corpo della donna. Questo diviene terreno di incontro e scontro di una mappa che definisce il territorio in cui si inscrivono le sofferenze fisiche e psicologiche come risultato di interessi e visioni del mondo a livello di lignaggio, di affiliazione, di fede, a carattere locale, nazionale e transnazionale. Gli agenti della violenza sono trasversali alle frontiere, alle credenze, alle appartenenze etniche o politiche, alla pigmentazione della pelle e alla lingua.
Ma c’è anche un altro fondamentale elemento che emerge dalla figura della donna migrante, cioè la straordinaria capacità di resilienza che è possibile leggere nelle loro biografie. Le donne che giungono alle nostre frontiere mostrano comunque una incredibile capacità di costruzione di un percorso di vita che, meno spesso che negli uomini, sfocia nella maturazione di disturbi psichici e sempre prevede la cura e l’accudimento di figli che rappresentano, in moltissimi casi, la trasformazione di un atto di violenza o sottomissione in una proiezione verso un futuro diverso.
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Simone de Simone, antropologo e operatore sociale, lavora con i migranti forzati e gli adulti in marginalità estrema. E’ papà di due piccole donne.
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