Sicurezza e immigrazione: donne che resistono
di Giulia Maraone
Le recenti politiche sul tema dell’immigrazione mettono in luce la volontà di perpetrare con maggiore forza ideologie che tentano di inseguire quello che viene storicamente definito controllo sociale. Numerosi gli autori e le autrici che hanno nel tempo teorizzato a riguardo e analizzato eterogenee sfaccettature presupponendo tesi divergenti. Assumiamo quindi come focus la stretta correlazione tra controllo sociale e discriminazione istituzionale, connessione che maggiormente rispecchia il clima socio-politico e culturale che innanzi ci appare. Ben note alle donne e ai movimenti femministi le teorie e le pratiche che ne sono a fondamento.
Con discriminazione istituzionale si intendono, dunque, tutte quelle procedure amministrative la cui applicazione produce e acuisce condizioni di evidente disuguaglianza sociale per alcune categorie di cittadini/e, in genere appartenenti a gruppi svantaggiati. Con tali premesse, esemplificativi appaiono i fenomeni migratori e in particolare le cosiddette migrazioni forzate. Le recenti statistiche (Fondazione ISMU, aggiornamento dati 5-11-18) indicano che sono state 130mila le richieste di asilo presentate nel 2017 in Italia, oltre 21mila, il 16% circa del totale, erano donne.
Una di queste donne si chiama si chiama Anilda, è nata a Gomsiqe, un minuscolo villaggio dell’Albania. È partita per sfuggire alla disperazione, è una storia di umiliazioni e deprivazione la sua, una storia di voglia di riscatto e affermazione, una storia di coraggio e autodeterminazione. La decisione è stata difficile, l’incertezza e le paure erano tante, ma è stata inevitabile. Il viaggio con mezzi, per così dire, di fortuna è stato lungo e difficoltoso ma è arrivata. Finora la strada di Anilda è stata lunga ma ha trovato “un posto sicuro” che potesse guidarla nel rimettere insieme frammenti di vita e ripartire. In Italia ogni giorno nuovi traguardi, ogni giorno delle opportunità afferrate, qualche giorno la paura e il pianto. Anilda ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari, le scadrà tra qualche mese. Il suo futuro è incerto.
Il decreto legge 132/2018, nello smantellare il Testo Unico sull’Immigrazione, all’art.1 abolisce il permesso di soggiorno per motivi umanitari, convertibile in lavoro subordinato o rinnovabile alla scadenza in protezione speciale, della durata di un anno e non più convertibile. La titolarità precedentemente acquisita nega il diritto all’iscrizione anagrafica, consolidatasi ormai da decenni come la principale porta d’accesso per l’esigibilità dei diritti di cittadinanza e tutela. Di fatto nega la possibilità per i cittadini e le cittadine migranti di intraprendere e proseguire dei percorsi di empowerment concreti e praticabili, impoverendo drasticamente il range di opportunità per l’inclusione sul territorio e creando nuovi e nuove invisibili abitanti dei non-luoghi della società. Quando razzismo e sessismo si confermano istituzionalizzati, agire diviene irrinunciabile.
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