Donna migrante
di Giusy Coronato
È Kafayat, Blessing, Saadia, Hodan, Olena, Fatima e Alima. La donna migrante è la mamma che vuole offrire un futuro migliore al figlio disabile, è la donna che ha perso la casa, la famiglia e tutti i suoi beni a causa della guerra, è la donna che non è libera di amare un’altra donna. È colei che scappa dalla violenza di un marito, è quella a cui piace studiare e che vuole avere la possibilità di scegliere il proprio lavoro, quella che affida i figli alla famiglia e va in cerca di fortuna per farli andare a scuola. Quella che non aveva intenzione di migrare ma che si è fidata delle persone sbagliate e si ritrova dentro un vortice di sfruttamento, minacce e violenza da cui non riesce ad uscire. La donna migrante è “la pazza” abbandonata dalla famiglia, un peso che la comunità non vuole sostenere, ed è quella che poi “matta” lo diventa a causa dei traumi subiti durante il viaggio.
Donne diverse accomunate da un destino simile e a volte mortale: il viaggio. Donne che vengono picchiate, stuprate, imprigionate, considerate merce di scambio e private di qualsiasi forma di dignità. Sono donne che arrivano in Italia con in grembo il figlio di uno stupro e che prendono decisioni coraggiose e sofferte: portare avanti la gravidanza, metterne fine, volerlo fare ma non averne più il tempo. Donne che, ancor prima di partire, decidono di inserire il contraccettivo sottocutaneo perché conoscono già l’orrore che le raggiungerà.
Una volta in Italia sono discriminate e vittime di un sistema patriarcale, maschilista, spesso razzista e intollerante. Sono vittime di una società che ha pregiudizi e stereotipi su ogni aspetto che riguarda la loro vita (dai vestiti all’educazione dei figli) e di una società che non comprendono: non conoscono la lingua, non capiscono la burocrazia, le leggi e la cultura. Quando mamme, sono costrette a occuparsi 24 ore su 24 dei propri figli, senza pausa né riposo, a volte senza avere la possibilità di andare a scuola e soprattutto di trovare un lavoro, finché il miracolo dell’assegnazione di un asilo nido non ricade su di loro.
Poi imparano l’italiano, scoprono quali sono i loro diritti, trovano un lavoro e una casa, inseguono il loro obiettivo e costruiscono il loro sogno. Sono donne resilienti, sopravvissute a un viaggio al limite della vita e a un nuovo inizio in un altro “mondo”. Sono donne che esistono, resistono e vanno avanti, un valore aggiunto portato alla nostra società in termini di forza, di coraggio, creatività e conoscenza.
Per tutto questo dovremmo prendere esempio da queste donne, chiedere consiglio, ascoltare, discutere, creare e costruire. Senza dimenticarci di riconoscergli il tempo e lo spazio di ricomporsi.
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