Art.9: obiezione di coscienza
di Daniela Marcuccio
Il vento revisionista e oscurantista che da un po’ di tempo soffia sul nostro paese tragicamente investe spazi dove i diritti della persona sono dati per acquisiti. L’assunto per cui “i diritti chiamano altri diritti” vacilla in modo preoccupante, dimostrandosi debole, per noi donne e per la nostra pacifica eversione della cultura patriarcale. Proprio la legge 194 presta il fianco a questi cambiamenti di rotta essendo il “luogo normativo” della differenza sessuale. La legge è la prova che il fatto naturale del “partorire” è cosa pubblica che va normata, sottraendola alla donna che per natura ne porta il segreto. Se è innegabile la conquista realizzata dai movimenti femministi, oggi da custodire cautamente, le strette maglie filate intorno al diritto della donna celano le resistenze culturali che caratterizzarono il dibattito politico. Fino ad ammettere che in alcune norme le obiezioni conservatrici sono riuscite a prevalere! Si prenda la norma ex art.9 che consente al personale sanitario e agli esercenti le attività ausiliarie di “sollevare obiezione di coscienza, preventivamente dichiarata … per essere esonerati dal compimento delle attività specificamente e necessariamente dirette all’interruzione della gravidanza…”. Essa rappresentò e rappresenta una grossa rivincita dei cattolici, che ottennero il riconoscimento di un diritto comunque ancorabile alla libertà di pensiero ex art.21 Cost. incontestabile conquista democratica e liberale. Se non fosse che nella mente di chi propose e ottenne la norma e di chi oggi ne fa uso e abuso, la coscienza che si impone al godimento di altrui diritti è una coscienza religiosa, che stride con lo Stato formalmente laico per Costituzione. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 1999, intervenendo sul caso Pichon e Sajons in Francia, ha lanciato un monito agli Stati UE perché “pur considerata la natura individuale dell’obiezione di coscienza è da escludersi che convinzioni religiose possano prevalere fino ad imporsi ai terzi”[1]. Come letteratura e giurisprudenza costituzionale insegnano, a fronte di diritti parimenti rilevanti costituzionalmente – qui il diritto alla salute della donna ex art.32 Cost. e la libertà di coscienza ex art.21 cost. – il necessario bilanciamento deve favorire la tutela della posizione che potrebbe ricevere più grave pregiudizio, dato il monopolio “quasi naturale” del medico sugli interventi a tutela della salute psicofisica della persona. Se l’IVG deve essere praticata da un medico professionista, la libertà di coscienza deve cedere agli obblighi d’ufficio che questa professione, e solo questa, comporta. Potremmo addirittura parlare di “abuso di posizione dominante”, illecito che nella pratica commerciale è sanzionato, e che invece in questo caso è incentivato visto che circa il 70% del personale medico specialista si dichiara obiettore! Quello che è ancora più grave è che molti casi di obiezione di coscienza riguardano l’assistenza antecedente e conseguente all’intervento, che a norma del terzo comma del citato articolo 9 è attività sanitaria sottratta all’esonero. La Cassazione penale abbastanza recentemente ha confermato la condanna di una dottora, in servizio di guardia medica nel reparto di ostetricia e ginecologia di un presidio ospedaliero, per essersi rifiutata di assistere la paziente, già sottoposta ad IVG farmacologica, nella fase del “secondamento”, successiva all’aborto indotto, omettendo quindi di prestare quell’assistenza che la norma sottrae all’esonero per obiezione[2].
All’origine del “malinteso” è il vizio di merito della legge: considerare l’intervento abortivo semplicemente funzionale alla tutela della salute della donna e non un atto di autodeterminazione sul proprio corpo che la donna rivendica come diritto compiuto in sé per sé. Si veda la procedura (art.5 co.1) di accompagnamento della donna affinché si trovino “le possibili soluzioni alternative ai problemi” che potrebbero averla determinata alla decisione, “si sottrae per quanto è possibile alla donna gravida la sua autonomia decisionale di generare o meno” quasi fosse un incapace. La società a impostazione patriarcale si è impadronita del corpo delle donne e delle sue funzioni; e siccome nel generare si perpetua la specie ne ha fatto una questione di Stato affidata al legislatore, con un imbarazzante fluttuare tra diritto, etica e metafisica [3]. Si ode così l’eco fideista della “vita prima della vita” anche contro la vita già esistente della donna! Per fortuna giuridicamente la persona nasce con i primi vagiti! Ma la degenerazione applicativa della legge è purtroppo in nuce.
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[1] Nel caso di specie l’obiezione di coscienza era stata sollevata dall’esercente il servizio farmaceutico avverso la richiesta di acquisto del contraccettivo di emergenza. Nonostante le indicazioni casi del genere continuano ad essere denunciati anche in Italia.
[2] 27 novembre 2012 n.14979/2013
[3] Adriana Cavarero, pg 81
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