16 Giorni di Attivismo Contro la Violenza di Genere – 2016
Anche quest’anno, dal 25 novembre al 10 dicembre, Rising – Pari in Genere aderisce ai “16 Days of Activism Against Gender Violence”.
Nel 2016, la campagna internazionale si prefigge di sostenere il raggiungimento dei goal previsti dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’ONU. Raggiungere “l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze” è uno degli obiettivi previsti. L’Associazione Rising ha provato a immaginare un mondo paritario tra i generi: giorno per giorno incontreremo bambine, ragazze, donne del futuro; incontreremo noi stesse scontrandoci con quello che viviamo e quello che vorremmo poter vivere.
#Day1 “Sono Giulia, ho 10 anni, oggi sono andata a scuola: sul mio libro di storia ho trovato la foto di una donna che lavora al microscopio. La maestra mi ha detto che si chiama Rita Levi Montalcini, un’importante scienziata italiana, che ha vinto anche il premio Nobel. Io da grande non so ancora bene cosa voglio fare: mi piacerebbe inventare qualcosa d’importante o forse, fare l’architetta, perché mi piacerebbe costruire luoghi in cui le persone amano ritrovarsi. Forse vorrei fare la sindaca, per migliorare il paese in cui vivo. Dopo la lezione, è suonata la campanella e sono uscita in cortile a giocare per la ricreazione: Massimo mi ha tirato il pallone e ha detto che voleva giocare con la migliore calciatrice della scuola. Forse dovrei fare la calciatrice, da grande”.
In realtà, oggi si educano le bambine e i bambini con la convinzione che ci siano attività adatte agli uomini piuttosto che alle donne. Avere dei libri di testo e un’educazione che promuova la parità di genere, è un primo passo per sviluppare le potenzialità di tutte le persone, donne e uomini, affinché possano immaginare di essere e compiere ciò che desiderano nella loro vita.
#Day2 “Sono Martina, ho 33 anni, oggi sono andata in ospedale: devo fare un semplice intervento per togliere una cisti. Sono decisamente in sovrappeso e avevo timore a farmi operare visto che mi vergogno un po’ del mio corpo. Il personale medico è stato molto accogliente: mi hanno messa a mio agio e mi hanno rassicurata che la chirurga avrebbe fatto del suo meglio per non far vedere la cicatrice. Non pensavo che avrebbero dato importanza all’estetica, visti i miei timori. Sono uscita dall’ospedale e mi sono sentita bene nel mio corpo. La chirurga oggi ha messo i punti a due ferite”.
In realtà, oggi può capitare che una donna si rechi a una visita o a un intervento chirurgico e il personale commenti in maniera inappropriata le caratteristiche del suo corpo. Vivere nel corpo di una donna in questa società è ancora molto faticoso ed incontrare personale professionale, libero da stereotipi sessisti, è ancora una rarità.
#Day3 “Sono Anna, ho 16 anni e oggi sono andata su internet: navigando, mi è apparsa la pubblicità per un concorso dedicato a studenti e studentesse. Ci chiedono di realizzare un video o un manifesto che racconti donne e uomini importanti che sono per noi d’ispirazione. Ho girato subito il link nel gruppo sulla chat delle mie amiche e dei miei amici di scuola. Sui social, mi è arrivata la notifica che Andrea, un amico di mio padre, mi ha mandato un messaggio: mi chiede se gli mando una mia foto provocante. Mi sono sentita confusa, mi sono chiesta perché facesse questo, se gli avessi lasciato intendere che provassi un interesse per lui. Una voce dentro di me ripeteva: non è colpa tua. Ho risposto pubblicamente ad Andrea che la sua richiesta è una molestia e tutti i miei contatti hanno fatto la rivoluzione, commentando con post in mio sostegno; anche mio padre mi ha sostenuta, ora non si definisce più suo amico. Sono certa che quest’uomo non lo citeremo tra le persone che ispirano il nostro futuro”.
In realtà, le chat comuni e i social network si rivelano spesso luoghi della violenza, in cui le ragazze subiscono molestie sessuali, minacce, discriminazioni. Se una ragazza ha subito la pubblicazione di un suo video o di un’immagine sessualmente esplicita, la maggior parte dei commentatori virtuali giudica con un violento “Se l’è cercata”. Oggi, anche se la violenza è virtuale, il suicidio 1 volta su 10 è reale.
#Day4 “Sono Francesca, ho 64 anni, e oggi mi sono innamorata. Almeno credo. Dopo il lavoro ho preso mio nipote in piscina e l’ho riaccompagnato a casa. Mia figlia è rientrata di lì a poco e mi ha proposto di rimanere a cena da loro. A me non andava. Desideravo ascoltare un po’ di musica e bere un drink, sola coi miei pensieri. Mia figlia mi ha parlato di un nuovo locale dalle loro parti, così ho dato un bacio a mio nipote e ci sono andata. Lui stava lì, ci siamo sorrisi e abbiamo iniziato a chiacchierare. Mi sembrava di conoscerlo da sempre. Gli ho raccontato che il mese prossimo andrò in pensione, di come mi senta felice di recuperare un po’ di tempo per me, che vorrei fare un viaggio dall’altra parte del mondo. E gli ho proposto di farlo insieme. Lui era divertito dalla cosa, così ci siamo dati appuntamento per l’indomani, per parlarne con maggior tranquillità. L’indomani, appena ci siamo visti, subito un bacio, due, e ci siamo ritrovati a letto. Avevo finito il lubrificante, così lui mi ha toccata, io ho toccato lui. Abbiamo riso dicendoci che in vacanza ne avremmo portato un po’ di scorte. E abbiamo iniziato a programmare il viaggio.”
In realtà, oggi si continuano a vedere le donne anziane come estranee alla sfera del sesso. C’è stupore, se non fastidio e repulsione, nel riconoscere l’esistenza di una sessualità nella terza età. L’età in sé non costituisce un ostacolo al sesso, fatta eccezione per alcune condizioni psico-fisiche, che possono essere sostenute con rimedi che forniscono un aiuto alla sessualità della donna anziana.
#Day5 “Sono Sara, ho 40 anni, oggi sono tornata a casa: vivo con Marco, stiamo insieme da tre anni e il nostro appartamento lo abbiamo costruito, stanza per stanza, come piaceva a noi. Anche mio marito è appena tornato dall’ufficio e abbiamo iniziato a cucinare insieme il risotto allo zafferano. Dopo cinque minuti stavamo litigando: lui sostiene che mia madre è una vecchia spilorcia, io gli ho detto che suo padre è un vecchio isterico. Mentre discutevamo, il risotto allo zafferano si è bruciato, abbiamo buttato una pentola e ordinato pizze a portar via. Abbiamo riso insieme di quanto è imbranata la nostra coppia. Il matrimonio non è questione di risotto, è questione di riso”.
In realtà, In Italia, una donna su tre subisce violenza nell’arco della vita; l’autore della violenza è il marito nel 48% dei casi, il convivente nel 12% e l’ex partner il 23% delle volte. In una situazione di maltrattamento, la casa è il luogo della violenza e non dell’amore. Nel maltrattamento, c’è un uomo che torna a casa e lancia addosso a sua moglie un piatto, che lei aveva preparato con tanta cura e tanta paura.
#Day6 “Sono Alina, ho 24 anni, sono per strada: il segnale della fermata dell’autobus è poco distante, non riesco a vedere bene i nomi delle fermate, sono miope. Per superare l’ansia dell’attesa leggo e rileggo sempre gli itinerari. Una macchina rallenta e si accosta al marciapiede, si abbassa il finestrino e un uomo di mezz’età mi chiede le indicazioni per andare a Piazza della Repubblica. Ha le guance tonde ricoperte da una barba ispida, mi ricorda mio zio, mi emoziono, rischio di far cadere i libri che ho nelle mani. Mi sono scusata, non conosco bene le strade, sono in Italia solo da sei mesi per studiare biologia: la mia famiglia ha messo da parte i soldi per un biglietto di sola andata dalla guerra e dalla povertà, verso il futuro; che nostalgia di casa! Ѐ arrivato l’autobus, l’esame inizierà tra meno di un’ora, ho sempre l’ansia prima di ogni prova, speriamo andrà bene, spero che la mia famiglia sia fiera di me, anche da lontano”.
In realtà, oggi in Italia, 1 uomo su 3 che affianca con la macchina una donna vicino alla fermata dell’autobus, le pone la domanda: “Quanto costi?”. Il 95% della prostituzione sulle strade italiane e in appartamento è il risultato del commercio di schiave da parte della criminalità organizzata; il restante 5% della prostituzione è comunque il frutto di una cultura maschilista, che concepisce il corpo delle donne come una merce che può essere acquistata. In realtà, oggi in Italia, Alina si logora nell’attesa di un uomo e al suo arrivo, si chiederà quanto le farà male e per quanto tempo rimarranno i segni di quella barba ispida sulla sua pelle.
#Day7 “Sono Lucia, ho 37 anni e oggi si festeggia con tutta la mia famiglia: mio marito, i miei genitori, mia sorella e sua moglie, i loro due bambini. C’è anche Vincent, il nostro nuovo vicino di casa e forse passerà Ercole, l’amico di sempre. Viviamo lontani, così è bello ritrovarsi per i compleanni. Sono occasioni in cui io e Carlo suoniamo e cantiamo per tutti, mentre mia madre ci riprende e subito pubblica il video. Tiene sempre aggiornato il suo canale con le mie performance; è orgogliosa della mia voce, dice che è proprio come quella della nonna. Mia nipote si arrampica sulle mie ginocchia e mi chiede di cantare con lei, mi guarda con gli occhi incantati dell’infanzia e toccandomi la pancia mi chiede se c’è un bambino lì dentro. Tra tutti i sogni della mia vita, non c’è mai stato un figlio o una figlia, non mi manca, sorrido e le rispondo scapigliandola: “Un bambino? No! Nella mia pancia ci sono tante idee, c’è la voce per cantare, c’è l’amore per te, per la nonna, il nonno, per Carlo”. Tante cose si possono mettere al mondo: l’amicizia, l’amore, la solidarietà, i progetti, le esperienze. Io ho impiegato il mio tempo a mettere al mondo, felicemente, me.”
In realtà, oggi resta forte la condanna sociale per le donne senza figli, nonostante il numero crescente di chi non desidera la maternità. Come se l’emancipazione femminile non fosse riuscita a incidere lo stigma imputato, da sempre, alle donne che operano questa scelta. La maternità deve rappresentare una tra le tante dimensioni della vita di ciascuna donna. Proviamo a cambiare la domanda “Ma tu non hai un figlio?” con un più generico e complesso “Sei felice?”
#Day8 “Sono Giuliana, ho 33 anni e ho da poco partorito la mia prima figlia. Quando ho scoperto di essere incinta ero entusiasta, l’unica cosa per cui ero spaventata erano i dolori del parto. Il mio ginecologo è stato molto comprensivo, ha risposto a tutte le mie domande e mi ha indirizzato in un ospedale che mi avrebbe seguito durante tutta la gravidanza. All’ospedale ho parlato con l’ostetrica, l’anestesista e con la persona che si occupava del corso preparto: tutti hanno risposto alle mie domande, mi hanno raccontato per filo e per segno come sarebbe andato il parto, facendomi capire in che modo il dolore sarebbe cominciato, quando si sarebbe intensificato e come affrontarlo e superarlo; in che momento avrei potuto usufruire dell’anestesia e in che modo avrebbe potuto eventualmente intervenire il chirurgo. Questo mi ha permesso di superare le mie paure e di vivere una gravidanza serena e tranquilla. Due giorni fa sono cominciate le doglie e tutto ciò che mi aveva tranquillizzato fino a quel momento è di colpo svanito, ed è tornato il terrore del dolore che di lì a poco avrei provato. In ospedale ho incontrato alcune delle infermiere conosciute durante i controlli e dopo poco è arrivata anche l’ostetrica con cui avevo parlato in precedenza. Sono stati tutti gentili, hanno accolto le mie paure e mi hanno seguito in questo momento così delicato, senza farmi sentire in colpa o farmi sentire meno donna perché urlavo, piangevo e provavo dolore e paura. La mia bambina è nata, sta bene e io ho vissuto un’esperienza bellissima anche grazie alle persone che mi hanno accompagnato durante il parto.”
In realtà sono migliaia le donne che ogni anno in Italia subiscono delle vere e proprie violenze in sala parto: insulti, aggressioni verbali e fisiche, procedure mediche coercitive o non acconsentite, umiliazioni, maltrattamenti e disinformazione che diventano veri e propri abusi. Troppo spesso le partorienti vengono trattate come malate che non collaborano e non capiscono, per cui non vengono ascoltate e ancora peggio il loro diritto di essere informate e di acconsentire a delle pratiche sul proprio corpo, vengono messi da parte. Troppi medici e ostetriche pensano di poter agire in piena libertà sui corpi delle donne, senza rispettarne voci, esigenze e difficoltà.
#Day9 “Sono Monica, ho 20 anni e non ho mai avuto una storia. La cosa strana è che fino a qualche anno fa guardavo le mie amiche avere a che fare con le loro beghe amorose, mentre a me non interessava. Poi tutto a un tratto ho iniziato a farmi tante domande anch’io e a rimpiangere quando le cose sembravano più semplici. Ne ho parlato con mia madre, mi ha detto che l’importante è partire da sé e ascoltarsi sempre. Ridendo ha aggiunto che al mondo ci sono 8 miliardi di persone e che per quanto esigente io possa essere, mi innamorerò e tutto mi sarà più chiaro.
Anche le mie amiche, saputi i miei pensieri, mi hanno rassicurata dicendomi che non c’è nulla di determinato, inutile pensarci troppo, lo capirò e sarà bello. Io però ci penso lo stesso, fantastico sul giorno del mio matrimonio… vorrei sposarmi nella spiaggia dove sono cresciuta, adoro la Sicilia. Ecco, una cosa la so: mia moglie o mio marito amerà il mare quanto me.”
In realtà l’eterosessualità continua a essere percepita come la norma. L’immaginario, ancora prima dell’incontro con l’altra, con l’altro, ci posiziona accanto a un uomo se siamo donne e viceversa.
Con molta probabilità oggi la madre di Monica le spiegherà che il mondo è pieno di uomini e lei si chiederà come potrà dirle che forse le piacciono le donne. E dovrà combattere paura, vergogna e senso di inadeguatezza prima di confidarsi con le amiche che magari le risponderanno di non farsi troppi pensieri, perché quasi certamente è una fase legata al momento o all’assenza di esperienze.
#Day10 “Sono Camilla, ho 19 anni e studio scienze della comunicazione. Oggi devo passare un’intera giornata davanti alla tv per prepararmi a un esame sul linguaggio televisivo di trasmissioni e pubblicità. I programmi del mattino sono condotti da uomini e donne e affrontano tematiche di vario tipo. Durante questi programmi noto che si pubblicizzano soprattutto prodotti casalinghi: mamme e papà che tirano a lucido la cucina o il bagno; single di ambo i sessi che cercano il prodotto migliore per pulire al meglio e nel minor tempo. Nel pomeriggio, durante i programmi per bambini, la pubblicità mostra bimbi e bimbe che giocano insieme con giochi soprattutto interattivi, colorati in mille modi, con allegria e leggerezza. Il quiz prima del telegiornale è condotto da una ragazza e un ragazzo, vestiti in modo stravagante, che ogni tanto ballano divertenti stacchetti musicali. Le pubblicità sono soprattutto di automobili e profumi: per vendere le auto, le presentano per lo più in contesti naturali e guidate da personaggi famosi. Per i profumi invece si fanno vedere le essenze usate e si punta a esaltare la forma della boccetta. All’esame spiegherò che il linguaggio televisivo è paritario e rispettoso delle diversità di genere.
In realtà oggi i programmi televisivi spesso sono fortemente sessisti: gli uomini si occupano di informazione o conducono i quiz, le donne presentano programmi di intrattenimento. In ogni caso non importa l’età o la prestanza fisica dell’uomo, mentre è indispensabile che la donna sia piacente e preferibilmente giovane. Gli uomini, più sobri, appaiono in giacca e cravatta; le donne quasi sempre sono seminude e il loro ruolo è quello della valletta sorridente, quasi muta e non pensante. Nelle pubblicità la donna è rappresentata o come mamma e moglie o come oggetto sessuale, e il suo corpo viene usato per pubblicizzare e vendere qualunque cosa. Nei prodotti per bambini, la pubblicità esaspera la divisione fra giochi da maschio e da femmina, caratterizzati già dai colori delle confezioni blu e rosa. Le bambine vengono adultizzate e incoraggiate a emulare le donne con trucchi e bambole. I bambini sono invitati all’avventura, con prodotti che puntano a superare sé stessi per migliorarsi. Come se le femmine debbano imparare il prima possibile a interpretare il loro ruolo stereotipato di donne “passive”, mentre i maschi possono sperimentare e mettere in pratica i loro desideri, facendosi forti del loro ruolo privilegiato.
#Day11 “Sono Ala, ho 32 anni e insegno nella scuola materna. Qualche anno fa ho lasciato il mio paese, non perché non lo amassi, ma perché desideravo sperimentarmi in contesti diversi. Così ho lasciato la Moldavia e mi sono trasferita in Italia. All’inizio non è stato per nulla facile: ho lavorato come cameriera la sera, mentre la mattina frequentavo un corso di lingua per perfezionale l’italiano; nel frattempo, appena ottenuto il riconoscimento del titolo di studio, ho iniziato a cercare lavoro nelle scuole materne. Quando ho firmato il mio primo contratto in una scuola mi è sembrato di toccare il cielo dalla felicità! Fare la maestra è stato da sempre il mio sogno e tutti i miei sacrifici venivano ripagati! So che in quanto insegnante ho una grande responsabilità: ogni mattina incontro genitori che mi affidano la cosa più importante che hanno, non deve essere facile e io voglio meritare la loro fiducia ogni giorno.”
In realtà oggi quando una donna migra in Italia è costretta a rinunciare alla sua professione, mettendo da parte i suoi sogni, le sue attitudini e i sacrifici fatti da lei e dalla sua famiglia: le procedure per il riconoscimento dei titoli di studio infatti, sono costose, complicate e, molto spesso, prevedono l’integrazione degli studi. Inoltre, lo stigma che relega le donne straniere a lavori generici quali la colf, la badante, l’addetta alle pulizie è ancora molto presente. Non ci aspetteremmo mai che un’insegnante italiana faccia la badante ai nostri genitori, quando invece la donna è straniera diventa la normalità.
#Day12 “Sono Susanna, ho 27 anni e questa sera esco con le mie amiche. Durante la settimana sono sempre di corsa e non ho mai il tempo di fare nulla per me. A volte pur di dormire qualche minuto in più rinuncio al trucco e per le ore che passo fuori casa prediligo un abbigliamento comodo. Quando esco nel fine settimana invece, mi piace approfittarne: mi prendo il tempo di guardare l’armadio e scegliere, mi ricordo dei vestiti che adoro, delle gonne, degli short e dei tacchi alti. Perdo tempo ad acconciarmi i capelli e a giocare con il trucco. Sento la mia amica Alice che è imbottigliata nel traffico e arriverà tardi, doveva venire a prendermi ma così rischiamo di non arrivare mai. Le dico di non preoccuparsi, di andare direttamente al locale, io le raggiungo con l’autobus, così poi torniamo insieme. Prima di uscire di casa, mio padre mi dice che sono molto bella e mi augura buon divertimento. La strada che faccio per arrivare alla fermata è un po’ buia, ma mi piace camminare sotto le stelle senza le luci dei lampioni; per guardare in alto finisce che vado addosso a un ragazzo: io, lui e i suoi amici ridiamo di quanto sono sbadata e poi ognuno va per la sua strada. Arrivo alla fermata, salgo sull’autobus, raggiungo il locale e vedo le mie amiche che mi aspettano. Sorrido.”
In realtà una donna si trova a modificare il suo abbigliamento a seconda dei mezzi di trasporto che usa, dei tragitti che fa e se ha o meno compagnia nel farli. Susanna, prima di uscire di casa si chiederà se sia il caso prendere l’autobus vestita così, ancora di più perché sola; il padre le raccomanderà di stare attenta; la strada buia le procurerà uno stato di allerta e, probabilmente, sceglierà di chiamare qualcuno al telefono per sentirsi più sicura. Noterà il gruppo di ragazzi arrivare, dovrà ascoltare i loro commenti su di lei e sarà sua premura cambiare marciapiede, così, “per sicurezza”.
In quanto donne siamo educate fin da subito alla paura della violenza e a mettere in atto strategie protettive.
La verità è che le donne, ancora oggi, non sono libere di camminare per strada con la stessa tranquillità degli uomini.
#Day13 “Sono Valentina, ho 39 anni e fino a 15 mesi fa tutti mi chiamavano Marco. Ora sono una donna, non ancora sui documenti ma lo sono per tutti quelli che mi incontrano, come lo sono sempre stata per me stessa. Il mio è stato un percorso bellissimo, in cui ho scoperto che persona volessi essere: sono una donna forte e determinata, autonoma e indipendente, ho tante amiche, sono impegnata nel sociale, sono una fioraia e adoro comporre dei bouquet colorati, soprattutto se sono regali destinati a chi si ama. Sono tante le donne che mi hanno ispirata e che mi hanno fatto comprendere le parti più importanti di me: mia nonna che sapeva ascoltare e dare ottimi consigli; Jane Austin che mi ha regalato parole che io non sapevo ancora pronunciare; Whitney Houston che mi ha fatto scatenare da sola, chiusa nella mia stanza, sognando di ballare con il corpo illuminato da un tubino ricoperto da paillettes, al ritmo di “I Wanna Dance with Somebody”, e che mi ha fatto scoprire che l’importante nella vita è danzare al ritmo con sé stesse.
In realtà, nella nostra società, le persone transessuali e transgender subiscono gravissime discriminazioni e violenze. In particolare in Europa il 69% delle trans (MtF) dichiara di aver subito discriminazioni o molestie; il 60% non ha avuto facile accesso al lavoro; in media una trans su tre subisce aggressioni o minacce di violenza fisica e sessuale; il 62% delle vittime trans non denuncia le violenze perchè pensa che non succederebbe né cambierebbe nulla.
#Day14 “Sono Federica, ho 17 anni e sono appena uscita dal consultorio. Sono fidanzata con Marco e due giorni fa ho dimenticato di assumere la pillola anticoncezionale. Abbiamo avuto dei rapporti sessuali e per essere più sicura ho pensato di prendere la pillola del giorno dopo: ci vogliamo molto bene io e Marco, ma un figlio no, ci sentiamo troppo giovani per averlo nei nostri piani.
La ginecologa mi ha accolta con molta gentilezza e quando le ho detto di cosa avevo bisogno, con dolcezza mi ha chiesto come stavo, se avessi subito una violenza, se fossi stata costretta a non utilizzare anticoncezionali. L’ho rassicurata, ringraziandola per l’attenzione mostratami.
Mi ha consegnato la prescrizione medica indicandomi la farmacia più vicina e, prima di salutarmi, mi ha consigliata di inserire un promemoria sul telefono per ricordarmi di prendere la pillola tutti i giorni perché può capitare di dimenticarsene.
Andando via ho pensato che chiamerò per avere un appuntamento: approfitterò della visita per chiederle di alcuni fastidi che sento, ho sentito di poter parlare con lei…”.
In realtà oggi, in molti consultori sono presenti obiettori/rici che si rifiutano di prescrivere la pillola del giorno dopo; accade anche in ospedale, in cui si viene mandate via, magari dopo aver aspettato ore in sala d’attesa e, il tutto, senza fornire un luogo alternativo in cui rivolgersi. In molti altri casi invece, ginecologi e ginecologhe, prima della prescrizione sottopongono le ragazze a domande indagative e giudicanti che fanno provare vergogna e sensi di colpa rispetto all’accaduto.
#Day15 “Sono Monica, ho 29 anni e oggi sono andata ad un colloquio di lavoro. Ero nella sala d’attesa e ho conosciuto Giorgio, un dipendente dell’azienda. Lui mi ha raccontato di essere appena rientrato dal congedo di paternità, dopo la nascita della sua terza figlia. Era felice di aver ricominciato a lavorare e faceva vedere a tutti i presenti le foto delle tre figlie, ripetendo quanto gli mancasse fare colazione tutti insieme. Quando mi sono seduta per il colloquio ero intimorita: il responsabile del personale ha esordito complimentandosi con me per il master che ho appena conseguito e per l’esperienza che ho svolto all’estero. Dopo aver parlato delle eventuali prospettive lavorative nell’azienda, mi ha chiesto se avessi figli o se volessi averne: gli ho parlato di Sara, che ha due anni e mezzo e ama nuotare. Il responsabile del personale mi ha sorriso e mi ha detto che secondo lui ero la persona giusta, nel posto giusto, anche perché l’azienda ha uno dei migliori asili a disposizione dei dipendenti. Spero che questa azienda possa essere una buona opportunità sia per me che per Sara.”
In realtà… fare un colloquio di lavoro oggi, per una donna, spesso vuol dire leggere sugli annunci che è richiesta bella presenza e un atteggiamento accondiscendente. Inoltre durante il colloquio vengono fatte domande personali sulla vita sentimentale o la situazione familiare: una donna in “età fertile” fa molta fatica ad essere assunta e spesso le viene chiesto direttamente se è intenzionata a fare figli o, se già li ha, se crede di poter avere tempo da dedicare al lavoro. La stessa cosa non succede agli uomini: si dà per scontato che se ha risposto ad un’offerta di lavoro avrà tempo da dedicargli e che se avrà figli se ne occuperà la madre dei bambini. Spesso il luogo di lavoro si trasforma in un posto in cui si subiscono molestie e dove la disparità di genere è all’ordine del giorno.
#Day16 “Sono Carmen, ho 28 anni, da oggi disoccupata. Sono un’operatrice dei Centri Antiviolenza; anzi, lo ero. Perché stamani, arrivata al lavoro, al posto del Centro ho trovato un bibliocaffè. Perché abbiamo sconfitto la violenza di genere e messo la parola fine a ogni forma di discriminazione contro donne e bambine. Ora viviamo in una società più giusta, libera da ogni forma di violenza. Una società in cui le donne partecipano a ogni livello decisionale in ambito politico, economico, civile e sociale della vita pubblica. Certo, dovrò trovare un nuovo lavoro! Potrei iniziare da qui, dalla biblioteca. Gli orari sembrano un po’ faticosi – aperti sino a sera, anche la domenica – Però alla casa, al bambino, ci pensa Marco, mio marito, ora che il lavoro domestico è finalmente riconosciuto e valorizzato, e le responsabilità condivise all’interno di ogni famiglia. Sì, entro al bibliocaffè, chissà… magari cercano personale.”
In realtà, oggi in Italia 1 donna su 3 continua a essere vittima di violenza, non solo fisica o sessuale, ma anche economica e psicologica. Nella stragrande maggioranza dei casi commessa dal partner attuale o ex. E sono proprio i Centri Antiviolenza il luogo d’elezione in cui accogliere e sostenere le donne in difficoltà. Per il loro valore politico-culturale, i Centri sono essenziali anche ai fini della prevenzione del fenomeno e intervengono nel processo culturale in cui nasce la violenza.
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