“4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”, di Cristian Mungiu
di Zdenka Rocco
Bucarest, Romania, 1987: negli ultimi anni della dittatura di Ceausescu, due ragazze affrontano il dramma dell’aborto. Clandestino in Romania dal 1966 fino alla caduta del regime del 1989, in un ventennio in cui oltre novemila donne morirono a causa di interruzioni clandestine di gravidanza. Otilia e Gabita sono due studentesse universitarie; condividono la stessa stanza alla casa dello studente, e condividono il disorientamento di un’esistenza in un tempo e in un luogo in cui alcuni diritti delle donne vengono negati. Il diritto di scegliere la maternità, di vivere una sessualità consapevole, di essere libere dalla paura della violenza. L’assenza di musica, i colori freddi, i lunghi piani sequenza, i dialoghi che sembrano logorare le protagoniste, contribuiscono a tratteggiare il disagio e il malessere delle ragazze.
La cornice è quella di un Paese sofferente per i decenni di dittatura comunista, sullo sfondo le file per gli approviggionamenti alimentari, le interruzioni nell’erogazione dell’acqua, della luce. Ma potrebbe essere un qualsiasi Paese in cui le donne vengono private della capacità di scegliere e di essere responsabili.
Una ragazza sembra schiacciata dal peso dell’aborto, oppressa, inerme. L’altra inizialmente sembra padroneggiare la situazione: si muove nervosa nella penombra della città alla ricerca di una camera d’albergo, del medico abortista, del luogo in cui liberarsi del feto. Entrambe sono vittime della stessa violenza: il ricatto sessuale e lo stupro, l’impossibilità di gestire la propria sessualità. Si dicono che non parleranno più di questa storia. Il film lascia intuire che la storia tenderà a ripetersi.
Esisterebbe l’aborto in una società costruita a misura di donna? Probabilmente no. “L’aborto è un prodotto storico. La conseguenza dell’appropriazione da parte dei padri, della capacità di riprodursi, codificata attraverso la costruzione di miti, di norme etiche, di abitudini mentali”, spiega Dacia Maraini nella sua Lettera sull’aborto. Così il film, realizzato oltre dieci anni fa in contesto storico e politico lontano dal nostro, diventa di drammatica attualità.
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